Yuri Tuci a cuore aperto: “Spero ancora che arrivi la persona giusta per me”

Roma – “Si parla tanto di inclusività, ma sono spesso soltanto belle parole. L’ignoranza della gente è stagnante, come l’acqua dove stanno le zanzare tigre”. Yuri Tuci è così. Racconta la sua vita, la sua esperienza, le sue sofferenze in modo a volte poetico, quando meno te lo aspetti. Ha vinto, ieri sera, il Nastro d’argento come miglior attore in una commedia, ex aequo con Pietro Castellitto. Un premio importante, che per la prima volta viene attribuito a un attore autistico. Perché Yuri è affetto da autismo ad alto funzionamento. Ci sono stati, nella storia del cinema, film nei quali personaggi autistici sono stati interpretati da grandi attori, come Dustin Hoffman in Rain Man, o Leonardo DiCaprio in Buon compleanno, Mr. Grape!, o Sean Penn in Mi chiamo Sam. E si può parlare anche di Tom Hanks in Forrest Gump.
Ma è più raro che un personaggio del genere sia affidato a un attore davvero autistico. E invece Yuri Tuci lo fa, e lo fa alla grande. Interpreta Omar, il personaggio ispirato a Damiano Tercon, il giovane affetto da sindrome di Asperger, autore del libro Mia sorella mi rompe le balle. Lo fa nel film La vita da grandi di Greta Scarano, e interpreta alla perfezione le rabbie, gli smarrimenti, le decisioni improvvise, le ostinazioni del personaggio. Un personaggio allo stesso tempo vicino e lontano da lui.
È felice, naturalmente, di questo premio. “Ma la condanna più grossa per me è la solitudine. Non penso che avrò facilmente una donna al mio fianco”, ci dice Yuri. “Lo vorrei molto, perché la solitudine è una sepoltura a cielo aperto. C’è chi la sceglie. Ma non faccio parte di quel gruppo”.

Quando ha scoperto la condizione di cui soffre, Yuri?
“Che qualcosa non andasse, era chiaro fin da quando, a diciotto mesi, piangevo e urlavo fortissimo e mi rifiutavo di essere toccato, abbracciato, carezzato. Ma fino a quando ho avuto 18 anni tutto ciò non aveva un nome, per me e per la mia famiglia. Poi, finalmente, un nome ce l’ha avuto”.
“Autismo ad alto funzionamento”. Ma per lei che cosa significa?
“Avevo come una bomba a orologeria che mi ticchettava nella testa. Adesso, dopo la diagnosi, con vari farmaci, tutto è andato meglio. Ma i primi 18 anni della mia vita sono stati duri”.
Anche per i rapporti con gli altri? Ha vissuto episodi di bullismo?
“Due soli, ma tremendi. Una professoressa, vedendomi irrequieto, mi ha letteralmente appiccicato al muro, umiliandomi in un modo che non dimenticherò mai. E un compagno ha tentato letteralmente di strangolarmi: mi sono difeso in un modo che non dimenticherà lui”.
In generale si sentiva accolto dalla classe?
“In generale sì. Non ho avuto mai la sensazione che la classe mi tenesse a distanza. Ma si sa anche che la società è razzista. Che non ha pietà per chi è un po’ diverso”.
Le relazioni personali con l’altro sesso come sono andate?
“Ho avuto una fidanzata: l’ho lasciata, perché la gelosia – sua! – stava rovinando tutto. Ma ora sono solo, e questo mi pesa molto. Non farò mai una famiglia, me lo sento. La mia famiglia è la mia gatta Tigre, che dorme tutto il giorno. Spero ancora, però, che arrivi la persona giusta per me. Il fatto è che la devi trovare con la lente di ingrandimento, tipo Sherlock Holmes!”.
Però adesso, in giro per l’Italia, ha visto tantissime persone, ha incontrato spettatrici e spettatori…
“Sì, ma in realtà si rimane sempre soli. Però è stato bellissimo incontrare il presidente Sergio Mattarella. Mi ha fatto i complimenti: io lo avrei abbracciato, per la sua pazienza nel gestire quella Banda Bassotti che sono i politici italiani”.
Luce